02 aprile 2014

#VIAGGI: VARANASI LUNA PIENA E GANGA AARTI

Foto ©CECILIA MARTINO - 16 marzo 2014














L'esplosione istrionica del primo sole della stagione calda cede il passo alla prima luna piena del mese di marzo e l'ennesimo pezzo di universo si piega al mio destino e a quello di chiunque altro durante la cerimonia Ganga Aarti, sacro rituale indù che viene celebrato tutti i giorni al tramonto in tre delle sette città sante: Varanasi, Haridwar e Rishikesh.  A detta di chi ha potuto assistere alle celebrazioni nelle altre due città citate, quelle di Varanasi sono le più scenografiche. La notte della luna piena (Guru Purnima) è già di per sè carica di energie particolari, la luna vicino all'acqua in commistione fluida con le sue profondità - che sia mare o fiume - a sua volta sancisce un legame con l'invisibile espanso all'ennesima potenza. L'astro che influenza i liquidi, che smuove maree e umori femminini, che cova inquietudini e sollecita illuminazioni ... quanto può sembrarmi ingombrante e al tempo stesso necessario ora, al cospetto del fiume sacro mentre i preparativi della cerimonia aggiungono fermento alla mia impressione di assistere minuto dopo minuto a qualcosa di veramente speciale.




Foto ©CECILIA MARTINO - 16 marzo 2014





Tutto mi rotea attorno in un amalgama insieme statico e dinamico, come se il centro di gravitazione universale avesse spostato il suo asse ed io potessi danzare immobile e alla velocità della luce in qualsiasi direzione lo sguardo mi proietti: sono sull'altra sponda del Gange, quella deserta perchè lì si rischia di tornare scimmie nell'eterno ciclo delle reincarnazioni e nessuno osa sfidare la leggenda, sono nel pulviscolo che sa d'incenso e nel fondale melmoso a confondermi con le ceneri dei morti, sono sulla prima curva di luna rosea che affiora dalle acque (tutto qui sembra originare dal fiume) prima di volgere in alto la sua brama incondizionata, sono sulle pire accese di fuochi e fiamme svolazzanti al ritmo di campanelli, sono sulle inflessioni acute e monotone dei 108 nomi di dio racchiusi in un mala da benedire prima che il viaggio finisca, sono nell'odore acre di sterco e di coriandolo, di collane di fiori arancioni che raggrinziscono al caldo sui petti palpitanti dei devoti e su quelli vanitosi di turisti di passaggio, sono in uno spasmo di lacerante commozione che mi prende davanti a tutto questo, naufraga persa e ritrovata di fronte a un'immensità pietosa a cui non so dare un nome. Anche le lacrime qui a Varanasi hanno la stessa sostanza dei sogni, iniziano dagli occhi ma cambiano direzione senza troppa importanza, deviano nei meandri dell'invisibile, attraversano strati di corpo che nemmeno sai di avere, corrodono la materia scavando solchi proprio là dove qualcosa da dire ha preso dimora e non vuole cedere il passo. Sputo lacrime, muco e polvere, e mi garantisco così l'ingresso a pieno titolo nella ritualità di Varanasi perchè qui sputare è necessario almeno quanto respirare a fondo, possibilmente con il naso, se non si vuole ingoiare fino all'inverosimile la densa polverosa sporcizia che tinge l'aria con i suoi odori e dissapori.


Foto ©CECILIA MARTINO - 16 marzo 2014






La luna si appresta a levitare sopra l'acqua e gli officianti della Puja iniziano i loro preparativi mentre aumenta l'afflusso di gente che converge al Dasaswamedh Ghat  (il ghat principale di Varanasi, detto anche Main Ghat) per assistere alla cerimonia, l'irreprensibile culto in onore di Shiva e della Dea Ganga la quale della purezza himalaiana della fonte lascia strascichi opachi, come aloni circoscritti tra le sagome sbilenche delle barche. Mi sembra di ondeggiare insieme a loro, come se la mia andatura non potesse essere più altro ormai che un fluire incorruttibile con quanto accade.
I pandit con gli abiti color zafferano hanno ai miei occhi la stessa consistenza di una carezza morbida su un volto pruriginoso: iniziano a disporsi tra la folla ciascuno sul suo palchetto allestito ai piedi del ghat, in prossimità della sponda del fiume, uno accanto all'altro, sincronizzati in ogni movenza, nei volteggi che dedicano all'ignoto cospargendo l'aria di incensi e roteando grandi lampade di fuoco vivo nelle quattro direzioni dei punti cardinali mentre il sottofondo di scampanellii e canti raggiunge il parossismo. 
 Sembrano funamboli dello spirito nel crepuscolo degli dei



Foto ©CECILIA MARTINO - 16 marzo 2014








"Non so se sono più sopraffatta dall'essenza o dall'assenza - scrivo sul mio taccuino - perchè in questo luogo intriso di vacuità tutti gli elementi della terra sono sacri, acqua, vento, terra, fuoco... E mi inchino al mio sgomento. Brulica la vita nell'olezzo dei rifiuti bruciati. Questa terra brucia ad ogni angolo, sembra nascere dalle sue ceneri ogni giorno".



Foto ©CECILIA MARTINO - 16 marzo 2014




E' vero, Varanasi brucia, brucia da tutti i pori e ti conduce nel rogo insieme a lei tenendoti per mano. Brucia la pelle, le convinzioni, le consuetudini della mente, le inibizioni, il karma, le futilità, i corpi in carne ed ossa. Varanasi vacilla su perpetue e inespugnabili nuvole di fumo, arde fin dove c'è materia da ardere e incenerisce i pensieri inutili fin dove c'è sostanza senziente. Varanasi, questa incontinenza di un'India diventata vecchia che risarcisce dai suoi stessi danni come una sacerdotessa malconcia ma amorevole, dispensatrice prolifica di scaltre promesse d'eternità. 

"Nella polvere dell'umana presenza, il piccolo fuoco diventa grande - leggo tra le pagine del mio taccuino - sulle sponde dei sadhu e dei mendicanti macchie di colori a schernire lo sguardo che da curiosità diventa certezza" ...   
             
           Mi accingo a ricordare quello che non finisce dove si arrendono gli dei




Foto ©CECILIA MARTINO - 16 marzo 2014











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